Tartamare ed il Rotary di Grosseto
Di Antonio Ludovico
Ad onta del suo aspetto di creatura dotata di un robusto ed inattaccabile apparato difensivo capace di proteggerla da ogni possibile aggressione nemica, la tartaruga marina è una delle specie animali più esposte al rischio di estinzione. Il cosiddetto ”antropocene” potrebbe risultare infatti, per questo reale fossile vivente, il destino finale che ha saputo o potuto evitare nei precedenti estesi e profondi periodi e fenomeni di estinzione animale di massa. È infatti la pervasiva espansione del ruolo umano, anche nell’ambiente marino, la causa delle difficoltà di sopravvivenza di questo organismo.
Tra queste cause di mortalità quella di certo prevalente è la cattura accidentale da parte dei pescatori e, molto più devastante, l’incontro con attrezzi da pesca abbandonati in mare come cavi, cime, reti ed ami. Questo tipo di insidia che in gergo si chiama “by-catch” raramente lascia scampo agli animali le spoglie dei quali sono destinate prevalentemente a rimanere in acqua.
L’enorme e progressiva incidenza del traffico marittimo, specialmente motorizzato, indotto anche dalla nautica da diporto, costituisce una ulteriore origine dell’elevato tasso di mortalità: le ferite provocate dalle eliche dei natanti non si risanano che di rado per via naturale a causa dello specifico metabolismo e delle caratteristiche della temperatura e circolazione sanguigna. I risultati di tali incontri sono spesso ritrovati sulle spiagge sulle quali si abbandonano, per morire, individui non più in grado di nuotare.
A queste cause di mortalità si uniscono, e spesso si sovrappongono, tutte quelle che provengono dal generale incremento dell’inquinamento delle acque marine costituito in maggiore misura dai rifiuti dell’attività antropica che comprende il rilascio di molteplici specie e forme di scorie di materiale plastico ed inoltre sostanze chimiche direttamente inquinanti e tossiche tanto per via diretta quanto per accumulo. Le materie plastiche sono, com’è noto, particolarmente insidiose a causa dei processi di degradazione indotti dall’acqua, dalla radiazione solare, dal moto ondoso e da altri numerosi fattori che, oltre a modificare la struttura molecolare delle sostanze, provocano una spinta parcellizzazione dimensionale dei rifiuti che entrano così automaticamente nel meccanismo della catena alimentare. Il disturbo, la malattia e la morte delle tartarughe divengono così una forma di aggressione e sterminio incontrollabile e pervasiva.
Dannosi in modo inammissibile si manifestano i sacchetti e le pellicole di plastica che raggiungono il mare e che per essere semitrasparenti vengono interpretati dalle tartarughe come materiale gelatinoso edibile (meduse ed altri organismi simili per consistenza ed apparenza) così da generare oltre che l’interessamento dell’apparato digerente anche la possibilità di asfissia e annegamento del soggetto. Quanto sia attualmente aggravata la situazione dal rilascio delle mascherine antivirus è facile immaginare. Questo tipo di rifiuto, abbandonato sulle strade raggiunge facilmente il mare attraverso il trasporto delle acque meteoriche e la confluenza delle reti fognarie dedicate, con poche possibilità di intercettazione.
Rimangono da considerare in questo contesto altre ulteriori cause di notevole disturbo biologico della specie: la distruzione o anche solo il deterioramento dell’habitat marino al quale contribuiscono fortemente gli insediamenti costieri ed anche la balneazione, le modifiche climatiche e, da ultimo, il fattore che più degli altri ha inciso nella storia umana: il prelievo intenzionale della pesca o della caccia, legittima o di frodo, e della cattura per l’utilizzazione diversificata del carapace o scheletro dermico di tutta la categoria dei rettili Cheloni.
Così, mentre l’immagine della tartaruga, anche marina, ha permeato la costruzione di tutte le culture globali per la straordinaria forza evocativa delle forme e delle caratteristiche di questi animali, tra le quali anche l’aggiornata letteratura fantasy e molti personaggi del cinema e dei disegni animati, l’uomo contemporaneo contribuisce in modo essenziale a creare e moltiplicare le premesse reali per la sua estinzione.
Sulle coste della Toscana nel periodo 2012-2019 l’ARPAT la rilevato complessivamente 236 spiaggiamenti di tartarughe marine, 71 casi di cattura accidentale con ulteriori 52 esemplari ritrovati in mare.
Appare evidente, solo da questi numeri che si riferiscono ad un tratto relativamente limitato di fascia costiera italiana, che si manifesta la necessità crescente di organizzare, attraverso opportune forme di associazionismo, una mirata strategia destinata a sviluppare sui territori di competenza una integrazione di interventi destinati alla salvaguardia delle specie con l’obiettivo primario di contenere al massimo il numero degli esemplari che, per i motivi che sono stati sinteticamente indicati, muoiono per i traumi e/o per le altre molteplici cause. Sono così nati sulle coste del nostro paese centri dedicati proprio a questo scopo e che, progressivamente, hanno allargato i loro obiettivi anche ad altre forme di intervento orientate principalmente alla identificazione, al monitoraggio ed alla protezione dei nidi nei quali vengono deposte le uova dei nuovi individui. Questa pratica è indotta con evidenza dalla necessità di incrementare il numero delle tartarughe così da attenuare parzialmente il depauperamento della specie minacciata ed aggredita da tante insidie. Questa organizzazione che comprende la creazione di centri di cura e riabilitazione delle tartarughe, veri e propri punti di intervento veterinario specializzato, comporta anche l’esigenza di predisporre una ulteriore serie di iniziative che sono apparse via via necessarie per sostenere l’azione ed il servizio dei centri. Sono nati in questo modo i corsi di apprendimento ed attività di laboratorio destinati ai soggetti volontari che decidono di dedicare il loro tempo e le loro competenze alla ricerca dei nidi, al controllo ed alla protezione nel periodo di incubazione, all’assistenza alla schiusa delle uova ed al raggiungimento del mare da parte dei piccoli nuovi nati. L’affiancamento dei volontari allo sviluppo delle attività dei centri, condotte dallo staff dei dirigenti, permette anche, come risultato indotto, la divulgazione della conoscenza biologica, la partecipazione ad azioni, visite, seminari mirati e programmati, la collaborazione nei casi più promettenti alle attività di ricerca e di studio in campo scientifico. Particolarmente importante, questo aspetto, laddove l’azione del centro si sviluppa in connessione diretta ed in collaborazione con le istituzioni della ricerca scientifica e del controllo territoriale come gli atenei e le Aziende Regionali per la Protezione Ambientale.
Nell’area grossetana questo genere di servizio è svolto dall’Associazione TARTAMARE nata nel 2016 grazie all’entusiasmo di un gruppo di giovani e competenti volontari che in poco tempo, ma con molto impegno, hanno conseguito l’obiettivo di operare in convenzione con il Comune di Grosseto e di essere inseriti nella Rete della Regione Toscana con ARPAT per la tutela e la conservazione delle tartarughe marine: istituzioni che fanno parte dell’Osservatorio Toscano dei Cetacei nell’ambito del Santuario per la Protezione dei Mammiferi marini del Mediterraneo.
Una realtà molto importante legata alle attività sul campo e che si collega direttamente ai due fondamentali aspetti dell’azione del centro di cura e cioè quello veterinario e quello tossicologico si concretizza nella diretta e feconda collaborazione con, nell’ordine, le Università di Pisa e di Siena.
La sede dell’Associazione è a Marina di Grosseto (GR), dove è in corso di notevole sviluppo il centro di recupero, cura e riabilitazione il quale opera ovviamente attraverso l’autorizzazione del Ministero della Transizione Ecologica.
La fase critica del periodo di assistenza e di riabilitazione degli esemplari raccolti, i quali sono arruolati nel protocollo di intervento di TARTAMARE, si svolge all’interno di vasche contenenti acqua di mare continuamente tenuta nelle condizioni chimico fisiche adeguate allo stato degli animali da soccorrere. Tra le pratiche essenziali per ottenere un habitat adeguato alle condizioni del metabolismo estremamente fragile dei soggetti, il filtraggio delle acque rappresenta un elemento determinante e vitale. Occorre poi considerare che la compresenza nelle vasche di più soggetti portatori di problematiche sanitarie differenziate introduce un limite oggettivo di elevata importanza che impone l’obbligo di evitare la persistenza nella stessa acqua di portatori di patologie trasmissibili. Anche il trattamento differenziato di pratiche igieniche specifiche, specialmente nei casi di interessamento degli apparati digerenti, impone la separazione. L’esigenza di disporre di vasche di cura differenziate dedicate alle specificità sanitarie rende perciò indispensabile impiegare dispositivi di filtraggio multipli anche per poter programmare l’efficienza di apparati di scorta in caso di avaria delle macchine in uso.
Per questi motivi il Rotary grossetano, sensibile al tema della salvaguardia ambientale marina, ha ritenuto di promuovere l’iniziativa di donare a TARTAMARE un nuovo impianto di filtraggio in modo da incrementare il numero degli interventi di cura possibili. Si tratta di una iniziativa che da sola non risolve ovviamente le notevoli e numerose implicazioni di natura organizzativa ed operativa del centro di recupero, costituisce tuttavia un contributo che, nella sua relativa limitazione, indica come la collaborazione con i giovani volontari, l’individuazione delle immediate e strategiche esigenze del servizio e l’intervento economico mirato, possono connettersi con l’attuazione di progetti fondamentali e di grande portata per contribuire all’inversione della tendenza purtroppo evidente al danneggiamento dell’ambiente.
Il Forum Interdistrettuale rotariano della fascia costiera, che da moltissimi anni sviluppa nella sua agenda i temi ambientali marittimi ed in particolare quelli relativi alla salvaguardia della fauna marina, alla gestione degli stock ittici, all’acquacoltura ed alla coesistenza reciprocamente sostenibile delle specie nell’ambito naturalistico, ritiene di riconoscere in questa iniziativa un esempio di convincente risposta al modo di strutturare il complesso rapporto tra il Rotary e questo specifico settore della vita costiera. Un modo per restituire tra l’altro alla natura alcune prerogative che lo sfruttamento degli arenili ai fini turistico balneari molto spesso ha impoverito quanto a biodiversità ed anche deteriorato.